Palmi: cenni di archeologia a cura di Carmen Cannizzaro

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“La città di Palmi: cenni di archeologia”
a cura di Carmen Cannizzaro

Palmi è un comune della provincia di Reggio Calabria, situato sopra un terrazzamento che sovrasta una parte della Costa Viola.
Ciò che particolareggia il territorio, dal punto di vista geologico, è la presenza continua di terrazzamenti collinari che degradano rapidamente sul mare tramite una serie di falesie.

A partire dall’VIII secolo a.C., il territorio in questione fece parte di una vasta zona denominata Magna Grecia. Così, quella che oggi ha il nome di Palmi, era situata, anticamente, in prossimità di rilevanti città, come ad esempio la strategica Rhegion, l’attuale Reggio Calabria, o la rinomata Scyllaeum, la Scilla mostruosa di Omero.

D’altro canto, però, tutta la zona costiera ha una storia che inizia molto tempo prima, dunque vorrei mostrarvi alcune tracce archeologiche presenti in questa città, che fu, oltre tutto, patria di numerosi scrittori, compositori e musicisti di rilievo (Leonida Repaci, Francesco Cilea, Nicola Antonio Manfroce).

LE PRIME TRACCE ARCHEOLOGICHE

Palmi fu abitata fin dall’età del Bronzo, come testimoniato dall’ antica Grotta della Pietrosa (o Grotta di Tràchina) situata in mezzo alla densa vegetazione e raggiungibile soltanto attraverso un sentiero di campagna. A soli 95,24 m. s.l.m. è soggetta ad erosione marina. La grotta è di tipo carsico e suddivisa in due ambienti da una conformazione rocciosa naturale. Gli scavi archeologici hanno portato alla luce alcuni reperti che indicherebbero una frequentazione del sito dall’età del Bronzo fino all’età medievale, testimoniata dalla presenza di ceramiche di uso quotidiano acrome e invetriate di produzioni seminaresi.

Alla fase romana appartengono un focolare e resti di vasellame da mensa a vernice rossa.

Il periodo greco è invece caratterizzato dalla presenza di resti faunistici all’interno di una buca e una serie di elementi di materiale ceramico. Inoltre, è presente una struttura semicircolare non ancora identificata, legata alla presenza di resti di maialini appena nati, che potrebbe far supporre l’esistenza di un culto correlato alla dea Demetra. Ma ciò che rendono la grotta un qualcosa di unico sono i livelli datati all’età Bronzo, caratterizzati dalla presenza di un focolare e materiale ceramico, tra cui emergono due cocci di ceramica figulina di importazione dall’area egea, forse importati dai territori micenei delle Isole Eolie. Questo proverebbe l’inserimento del territorio nelle rotte commerciali micenee, nel periodo relativo al Bronzo Antico- Bronzo medio (Pace, 2006).

Fig. 1. Grotta della Pietrosa (da Pace, 2006)

L’ANTICA CITTA’ DI TAUREANA

Nel territorio palmese, dal IV secolo a.C. si sviluppò l’antica città di Taureana, distrutta dai saraceni nel X secolo. Di ciò che ad oggi ne resta, è conservato all’interno del Parco Archeologico dei Taureani “Antonio de Salvo”.

Il parco si trova su una terrazza naturale che affaccia sul mare, in quella che un tempo doveva essere un’area tanto meravigliosa quanto strategica, in grado di permettere il controllo di un lembo di terra che dallo Stretto arrivava a Capo Vaticano, senza trascurare il percorso del fiume Petrace, ovvero l’antico Métauros.

Dopo una frequentazione risalente al Neolitico ( V-IV millennio a.C.), documentata da sporadici materiali ceramici e oggetti in ossidiana, si ha un ricco quadro generale che conferma l’occupazione del pianoro in maniera stabile e longeva.

Relativi all’Età del Bronzo sono settori di un villaggio, costituiti da strutture capannicole e numerosi frammenti ceramici, tra i quali emergono coppe su alto piede tipiche della facies Thapsos-Milazzese (XV-XIV secolo a.C.) e un frammento di coppa di tipo miceneo che, anche in questo caso, potrebbe documentare l’inserimento del territorio nelle rotte commerciali del Mediterraneo antico.

Appartenenti all’ VIII- VII secolo a.C., sono deboli tracce del passaggio di genti greche, colmate dalla stabilità di un insediamento di civiltà italiche che, tra IV e I secolo a.C., ha avuto almeno due fasi molto importanti, legate alla presenza del popolo brettio dei Taureani.

Le fasi più antiche risalgono alla fine del IV-III secolo a.C., documentate da muri, pavimenti e suppellettile di strutture abitative, quasi completamente sovrastato dal successivo impianto del II secolo a.C. Proprio in questo momento il centro conosce un importante sviluppo che lo rende un impianto urbano ampio e regolare. A questo periodo corrisponde “La Casa del Mosaico”, caratterizzato da un emblema in Opus Vermiculatum con scena di caccia.

A seguito del I secolo a.C., è nota una colonizzazione da parte dei Romani, che rifondano la città con il nome di Tauriana. Il centro, vede adesso una intensa opera di urbanizzazione, con la costruzione di strade lastricate, ed opere particolarmente rilevanti come l’edificio per spettacoli e il santuario con tempio su alto podio e triportico.

L’importante centro rimase in vita fino al IV secolo e, successivamente, gruppi umani devono essersi stabilizzati in prossimità del complesso religioso che stava andando costituendosi intorno alla cripta di San Fantino (Parco Archeologico dei Taureani “A.de Salvo”, Palmi-RC-, 2011).

«Dopo Vibo Valentia, che ora chiamano il Porto di Ercole, il fiume Metauro; la città di Tauriana, il Porto di Oreste e Medma»
(Plinio il Vecchio, Naturalis historia, XIII, 5, 10).

Fig. 2. Tabula Peuntigeriana: Segmentum VI. Tra le città dello Stretto viene evidenziata Taureana (dal web)

IL TEMPIO DI SAN FANTINO

Il pianoro che aveva ospitato il centro monumentale di città italica, è adesso interessato dalla presenza del santuario di San Fantino, nato a Taureana nel 294 e morto nel 336.

La chiesa a lui dedicata sorge nel suburbio meridionale della città.

L’antica tomba del Santo viene edificata dal vescovo Pietro, in un ambiente ipogeo che riutilizza strutture romane legate alla distribuzione dell’acqua, realizzate a loro volta con materiale di epoca precedente.

Le strutture murarie della cripta contengono una serie di materiale laterizio bollato, riconducibile a diverse fasi di edificazione, complessivamente diciassette esemplari con legenda in lingua greca, databili al IV-III secolo a.C., e probabilmente prodotti a Reggio, e un unico documento inciso in caratteri latini da ricondurre cronologicamente al II secolo d.C. Inoltre, all’interno della cripta, sono presenti una serie di frammenti della decorazione ad affresco che doveva ricoprire le pareti per intero. Più in particolare, sono stati riconosciuti tre Santi Vescovo; uno è, per la presenza di una didascalia dipinta che recita “O A KPICOCTOMOC”, S. Giovanni Crisostomo, mentre gli altri due potrebbero essere S. Basilio e S. Gregorio.

Sono inoltre presenti elementi geometrici come linee e clipei.

Gli affreschi superstiti sembrerebbero attribuibili alla seconda metà del XI secolo.

La fonte scritta più minuziosa sulla Taureana altomedievale, giuntaci fino ad oggi, è la vita di San Fantino, scritta da un certo Pietro, di origini locali e forse vescovo di Siracusa.

Qui non solo la cripta viene menzionata. Molto probabilmente, infatti, sul pianoro, erano presenti uno o più monasteri, rimasti integri almeno fino all’età contemporanea.

Durante la campagna di scavi archeologici del 2003, sono stati, inoltre, rinvenuti frammenti di ceramica, tra cui ceramica acroma a bande rosse e un frammento di protomaiolica, il primo esempio di questo tipo di ceramica rinvenuto sul pianoro (Zagari, Cotroneo, Pettinelli, Pizuti, & Rapone, 2003).

Fig. 3. Cripta di San Fantino-Bollo laterizio (da Zagari, Cotroneo, Pettinelli, Pizuti, & Rapone, 2003)

LA NASCITA DI PALMI

Nel X secolo, la gente che ancora viveva sul pianoro di Taureana iniziò a spostarsi a causa delle pressioni e successive invasioni da parte dei saraceni. Coloro che scamparono alla distruzione di Taureana, si impiantarono in questo nuovo luogo, Palmi, che sorse probabilmente, proprio con il loro arrivo, dunque intorno al X secolo. Il nome sembra derivare dalle numerose palme presenti nelle campagne circostanti.

Alcuni ritrovamenti nelle vicinanze del vecchio ponte sul Petrace testimoniano la presenza di insediamenti stabili databili all’Età del Bronzo. Tuttavia, il primo ricordo storico sul nome Palmi risale al 1310 con la citazione di “Palma”.

Nel XVI secolo, la città fu distrutta da un’incursione barbaresca e fu successivamente ricostruita dal duca di Seminara, Carlo Spinelli, e denominata Carlopoli. Fu poi munita di cinta fortificata e torri d’avvistamento lungo il litorale.

Nel 1636 la Corte di Napoli, cedette la città al marchese di Arena. Dal 1684 appartenne agli Spinelli.

Fu distrutta dai terremoti nel 1783, 1898 e nel 1908, dopo essere stata tutte le volte ricostruita (AA. VV., 1999).

Oggi Palmi è una tranquilla cittadina calabrese che continua a godere della ricchezza dei maestosi paesaggi che la natura ha voluto offrirle. In cuor mio, desidererei poter osservare più attenzione verso queste tracce archeologiche che vengono spesso “dimenticate”, poco tutelate.

“Perdere il passato significa perdere il futuro.”
(Wang Shu)

 

Curiosità:

Antiche leggende narrano la storia di una donna che viveva sul Pianoro di Taureana. Si narra che, essendo rimasta vedova in giovane età, volle dedicare la sua vita alla devozione verso il marito morto. Donna Canfora era il suo nome e la sua bellezza era suprema e rinomata in altre terre. Dunque, i Saraceni, i quali erano soliti fare incursioni sulle coste del reggino, un giorno rapirono la donna. Essa però, per disperazione, saltò da quella nave, gettandosi in mare, preferendo morire ingoiata dal mare della sua amata terra.
Un’altra versione vede la dimora di Donna Canfora in quelli che oggi sono i resti del tempio all’interno del Parco archeologico (Licopoli, s.d.).

 

Glossario:
Bollo laterizio /Materiale laterizio bollato: Alcune officine usavano imprimere, su alcuni laterizi prodotti, quando erano ancora umidi, un marchio (il bollo) che poteva recare diverse informazioni. Queste indicazioni potevano riguardare la provenienza dell’argilla, il nome del proprietario dell’officina stessa, oppure dell’appaltatore o del responsabile. A volte recitavano un vero e proprio motto (Fonte: clicca qui).
Brettii: (successivamente denominati in modo dispregiativo Bruzi dai Romani) sono considerati per antonomasia il popolo antico della Calabria. Nel IV capitolo del VI libro di Geografia di Strabone, lo storico greco definisce i Brettii come gente di stirpe sannita. Egli specifica che furono i lucani a coniare il termine Bretti, che significherebbe “ribelli”, in quanto inizialmente erano astori al servizio dei lucani stessi e successivamente si ribellarono. Da ciò si evince che questa popolazione fece il suo ingresso nella storia a partire dal IV secolo a.C. In precedenza, erano una branca dei lucani e, prima ancora, dei Sanniti (Fonte: www.calabriaportal.com/storia/popoli-della-calabria).
Ceramica acroma-a bande rosse: La ceramica acroma è un tipo di ceramica comune. L’impasto ha caratteristiche tecniche che non permettono un’eventuale esposizione al fuoco. La classe comprende recipienti utilizzati per i processi di trasformazione, preparazione (mortaio, bacilli) e conservazione di alimenti solidi e liquidi (olle, anfore ed unguentari), per il servizio da mensa e da mescita (scodelle, coppette, brocche e olpi) e per il giardino (vasi da fiori). L’utilizzo dei termini “a bande rosse” indica la decorazione della ceramica, costituita appunto da una serie di linee di colore rosso (Fonte: www.laceramicaantica.org/ceramiche-comuni-eta-romana/).
Ceramica figulina: amalgama che, prima della modellazione, veniva sottoposta ad una serie di operazioni finalizzate all’eliminazione di qualunque particella estranea (pietruzze e detriti vari) presente nelle zolle di argilla (Fonte:www.pancucci.it/DIDATTICA ).
Ceramica a vernice rossa: Classe ceramica verniciata di rosso, a cui appartengono appunto tutti i vasi con argilla di colore rosso intenso, leggermente granulosa, rivestiti da una vernice rosso corallina, lucida, tendente a staccarsi a scaglie, che è da distinguersi dalla ceramica arrossata per processi di ossidazione nella fase di cottura ( in questo caso, il colore rosso, solo in rari casi interessa tutto il corpo del vaso) (Fonte: www.bibar.unisi.it/).
Falesia:  costa rocciosa con pareti a picco, alte e continue (Fonte: clicca qui).
Facies: il termine facies in senso archeologico vale come categoria descrittiva dell’insieme degli aspetti e delle caratteristiche di una classe di manufatti omogenei. Accompagnato dalla denominazione del gruppo di manufatti che identifica (facies di Fiorano, facies di Castelluccio ecc.), il termine sostituisce un uso generico del concetto di “cultura” (Fonte: clicca qui).
Opus Vermiculatum: indica una delle tecniche artistiche del mosaico, che permetteva, in antichità, di decorare pareti e pavimenti tramite l’uso di piccoli tasselli colorati, dette “tesserae”, in pietra o pasta di vetro e messe in opera da artigiani. I Romani usavano i mosaici per decorare i pavimenti di edifici pubblici e privati più lussuosi. Più in particolare, il mosaico detto vermiculatum si caratterizzava per l’uso di tessere molto piccole e pregiate, che permettevano di adattarsi in maniera più fedele al disegno preparatorio. A differenza dell’opus tesselatum, caratterizzato dalla presenza di tessere più grandi e rettangolari, il vermiculatum non veniva mai prodotto nel luogo di destinazione. Esso veniva inizialmente realizzato su una lastra di marmo, a sua volta incollata su una lastra di vetro (www.arkeomania.com/mosaico).
Ossidiana:  Vetro vulcanico la cui formazione è dovuta al rapidissimo raffreddamento della lava, sempre ricca di ioni silicato, i quali non riescono a raggiungere la formazione ordinata di un reticolo cristallino, ma assumono una disposizione caotica (struttura amorfa) come in un liquido superviscoso. Molto ricercata nell’antichità, è stata una delle merci che ha animato il commercio del Mediterraneo e sostenuto la vita economica dei luoghi di estrazione, come la Sardegna, Lipari o Pantelleria (Fonte: clicca qui).
Protomaiolica: ceramica rivestita con smalto stannifero. Il vaso foggiato al tornio viene sottoposto a una prima cottura e si ottiene il biscotto; questo viene ricoperto da una miscela acquosa costituita da ossido di stagno e ossido di piombo calcinati e da sabbia quarzifera, finemente macinati. Questa miscela viene assorbita dalla superficie porosa del biscotto, formando una leggera pellicola, sulla quale il vasaio dipinge la decorazione. I colori sono ottenuti dalla macinazione di ossidi di minerali di manganese, di ferro, di rame e di cobalto, dai quali si ottengono rispettivamente i colori nero-viola, giallo, verde e blu-azzurro. Il vaso viene quindi sottoposto a una seconda cottura, dopo la quale la decorazione risulta nitida, su un fondo bianco, lucente e impermeabile. I vasi in protomaiolica erano un prodotto di lusso, costoso per la copertura a base di stagno, che infatti nelle forme aperte era stesa soltanto all’interno, mentre l’esterno era lasciato nudo. Il tipo di argilla, le forme vascolari, i colori variamente accoppiati e alcuni elementi stilistici ci consentono di individuare le principali aree di produzione della protomaiolica, che sono la Puglia, la Sicilia e infine la Campania (Enciclopedia Treccani, s.v.).

Bibliografia:
AA.VV. Guida d’Italia- Basilicata Calabria. Milano: Touring Editore, 1999
F. D. Licopoli, La torre saracena di Palmi e la leggenda di Donna Canfora, 2014  – www.calabriaonweb.it
O. K. Pace,  Il sito protostorico della Grotta Trachina di Palmi, 2006
Parco Archeologico dei Taureani “A.de Salvo”, Palmi-RC, 2011 – www.italianostra.org/pdf
F. Zagari, G. Cotroneo, E. Pettinelli, F. Pizuti, F. Rapone, La ricerca archeologica nelle “Saline” (Calabria tirrenica meridionale, RC). Atti del III Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, Castello di Salerno, Complesso di Santa Sofia (Salerno, 2-5 ottobre 2003), pp. 464-468

in copertina: Marinella di Palmi (Ph Carmen Cannizzaro)

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