“L’elmo a zanne di cinghiale miceneo: un ponte tra archeologia, storia e letteratura”
a cura di Caterina Pantani
Unire archeologia e letteratura è sempre stato considerato un affare non semplice, rischioso, un percorso pieno di ostacoli in cui è molto facile inciampare. Fare ricerca significa operare con metodo e utilizzare tutte le fonti, dirette e indirette, potenzialmente utili per raggiungere l’obiettivo. La guerra di Troia è stato oggetto di studi fin dall’antichità; numerosi intellettuali, uno tra tutti Eratostene, cercarono di calcolare la precisa data del conflitto, oscillante tra il 1300 e il 1183 a.C. Ma cosa c’è di storico o riconducibile a fatti storici all’interno dell’epica omerica? Sappiamo bene che una delle caratteristiche dell’epica è quella di ingigantire e esagerare gli eventi narrati[1]. Un esempio lampante è il famoso Catalogo delle Navi (Il. II, vv. 494-759), l’elenco delle forze achee schierate contro Troia; se prendiamo per vere le parole del cieco cantore, il contingente acheo ammonterebbe di 100.000 uomini, un numero straordinariamente esagerato per l’epoca. Siamo nel campo della fantasia, o meglio della finzione letteraria. Le domande che molti prima di noi si sono posti dunque è: vi è mai stata una guerra di Troia? Quando e dove e perché si è svolta? Chi sono gli Achei?
Oltre ai testi letterari, le fonti a nostra disposizione sono: 1) le fonti scritte hittite, che risalgono all’Età del Bronzo e sono tutte sostanzialmente anteriori al 1200 circa a.C., momento del crollo della civiltà hittita, di cui -cosa assai strana- Omero non fa menzione; 2) la documentazione archeologica, siti e reperti connessi con Troia e con gli Achei, su cui ci focalizzeremo.
Sulla scia dei grandi studiosi dell’argomento, quindi di Schliemann, Dörpfeld, Blegen ed altri, la maggior parte degli studiosi moderni ritiene che la città di Hissarlik, (in Anatolia, Turchia) sia la Troia omerica[2] e che la drammatica saga troiana rifletta eventi risalenti all’Età del Bronzo.
Forrer fu il primo a sostenere che gli Ahhiyawa, un popolo di cui si fa menzione nei testi hittiti, dovessero essere identificati con gli Achei omerici e quindi con i Micenei. Oggi l’equazione Ahhiyawa = Achei = Micenei gode di rinnovato favore ed è accettata quasi unanimemente. Il popolo Ahhiyawa non può essere molto lontano dalla costa in quanto appare coinvolto in varie dispute di confine con gli Ittiti ed sembra aver offerto un rapido e sicuro rifugio a profughi e rinnegati anatolici; inoltre i riferimenti al mare, alle isole e ad operazioni che implicano l’uso di navi indicano che Ahhiyawa era una potenza navale, tanto che le fonti ittite, pur dimostrando una scarsa conoscenza di Ahhiyawa, ricordano un temporaneo dominio di questi su Mileto (Millawanda/Miletos)[3] .
Oltre alle fonti letterarie, ci sono altri indizi che permettono di legare i micenei agli achei di Omero. Sorprendentemente, alcuni dei confronti fra epica e mondo egeo in generale e miceneo in particolare risalgono al periodo proto-miceneo, mentre sono pochi per quanto riguarda il periodo palaziale miceneo e diventano di nuovo più frequenti nel periodo successivo alla caduta dei Palazzi.
Alcuni dei temi figurativi e degli oggetti che compaiono nelle Tombe a Fossa di Micene sono estremamente compatibili con temi tipici dell’epica: il duello tra due guerrieri, l’uso del carro, l’uso dei grandi scudi a “torre” o “body shields”[4] , delle armi di bronzo, delle spade con impugnature borchiate d’argento, delle lunghe picche e degli elmi rivestiti di placchette ricavate da zanne di cinghiale.
Noi ci soffermeremo su un reperto in particolare, che è stato trovato fisicamente o in rappresentazioni vascolari o parietali, sia in ambiente miceneo, sia in ambiente anatolico ed è inoltre citato da Omero stesso nell’Iliade. Questo reperto si copre quindi di un fascino e di una preziosità fuori dal comune per chi studia la civiltà micenea e per chi tenta di ricostruire quella omerica: stiamo parlando del particolare elmo costruito tramite la lavorazione di zanne di cinghiale; le placchette venivano cucite su un supporto di cuoio o di stoffa, in filari sovrapposti con andamento alterno.
Numerosi sono i ritrovamenti di placche di avorio, più rari quelli dell’intero elmo, unici quelli di armature integrali, come la panoplia trovata a Dendra.
La panoplia di Dendra è un raro esempio di equipaggiamento militare completo (panoplia, dal greco) di età micenea rinvenuto nel sito archeologico di Dendra, nell’Argolide. Si compone di un’armatura in lamine di bronzo, comprensiva di spallacci e barbozza a girocollo, e di un elmo a zanna di cinghiale. Furono rinvenute inoltre, schegge di zanne di cinghiale che anticamente costituivano un elmo, ora ricostruito.
Anche i guerrieri dipinti su un famoso cratere d’argento dalla Tomba IV nel Circolo A a Micene (datato verso il 1200 a.C.) indossano armature complete. Tuttavia questo tipo di armatura è diverso: può trattarsi o di un corsetto in pelle lungo tutto il corpo, con un grembiule di cuoio a frange che arrivava a metà coscia ed eventuali spallacci.
La splendida decorazione del cratere d’argento dalla Tomba IV del Circolo A di Micene tratta un tema molto caro nell’epica, quello dello scontro fra due gruppi di guerrieri intorno ad un guerriero caduto. I guerrieri sul cratere di Micene presentano tutta la panoplia del guerriero proto-miceneo (con l’eccezione della spada): le lunghe picche, gli elmi a zanne di cinghiale con creste e pennacchi ed i grandi scudi che coprono tutto il corpo e che in questo caso servono anche a caratterizzare gli opposti schieramenti: da una parte scudi a forma di “8”, dall’altra scudi “a torre”. I due arcieri, che per tendere l’arco devono avere assoluta libertà di movimento, non hanno protezione alcuna e sembrano nascondersi dietro gli altri. Anche nell’epica gli arcieri agiscono sempre a distanza e nascosti fra gli altri[5].
Quindi ciò che sembra a prima vista accomunare società proto-micenea e società omerica sono lo stile di vita, la predilezione per le armi e la guerra e per gli oggetti preziosi tesaurizzati più come “status symbols” che per il loro potenziale “economico”. Nel mondo omerico questi beni sono i keimelia, oggetti preziosi o esotici costituiti da bronzo, ferro, oro, argento, tessuti e vesti. I metalli sono in genere tesaurizzati in forma di coppe, tripodi e calderoni. Al di là della loro funzione utilitaristica ed estetica, essi valgono soprattutto come ostentazione di ricchezza e di prestigi.
Nell’Iliade si fa menzione di questo elmo nel libro X, detto Doloneia, in cui Odisseo e Diomede compiono una spedizione notturna contro l’accampamento troiano.
“Merione diede a Odisseo l’arco, la faretra e la spada, e sul capo gli pose un elmo di cuoio, con molte strisce saldamente intrecciate all’interno e al di fuori bianchi denti di cinghiale dalle candide zanne, fitti e disposti con ordine da una parte e dall’altra […] ”.
Anche l’elmo di zanne sembra, più che uno strumento di difesa, un cimelio: Merione infatti lo ha ereditato dai parenti e loro prima di lui. Non è un oggetto caratteristico del suo tempo, ma è antico, prezioso e denso di significato.
Recentemente sono state scoperte a Sparta tombe Medio-Elladiche ed una tomba a camera rettangolare con muri costruiti in pietra ed ingresso laterale. È datata all’epoca delle Tombe a Fossa e conteneva fra l’altro resti di un elmo a zanne di cinghiale. Siamo lontani dal periodo protomiceneo ed è molto probabile quindi che gli elmi, in questa sede, abbiamo proprio la funzione di keimelia. Interessante il fatto che Sparta sia citata da Omero, ma se si ipotizza che gli achei siano micenei, le cose non quadrano; Sparta non è un insediamento protomiceneo[6], il ritrovamento dell’elmo contraddice la datazione. Questo fa ipotizzare che gli elmi ritrovati nelle tombe fossero molto più antichi, dei veri e propri cimeli, così come sembrano essere anche per Omero.
Fra le sicure reminiscenze dell’Età del Bronzo possiamo quasi sicuramente includere anche l’elmo a zanne di cinghiale. Che l’elmo fosse ormai percepito come un “pezzo di antiquariato”, è dimostrato dal fatto che il poeta ne traccia una specie di pedigree, informandoci di tutte le mani attraverso le quali è passato prima di arrivare in quelle di Merione (Il. X, 261-270). Non vi è dubbio che il momento di massima fortuna e diffusione di questo elmo tipicamente miceneo sia il periodo anteriore alla comparsa dei Palazzi, mentre nel periodo del Tardo Elladico IIIA:2-B, le attestazioni sono principalmente iconografiche.
Sono però attestate molte rappresentazioni vascolari nel Tardo Elladico: recentemente elmi a zanne di cinghiale sono stati trovati in Tombe di Guerrieri databili al Tardo Elladico IIIC in Acaia, Etolia, Focide ed a Creta (Knossos), proprio la terra di origine di Merione. La preferenza per i temi di guerra rivela quindi il carattere turbolento e violento dell’epoca. Infatti, il periodo TE IIIC è un periodo caratterizzato da distruzioni, spostamenti della popolazione, fondazione di nuovi insediamenti ed abbandono di altri e da una ricomparsa delle “Tombe dei Guerrieri”, cioè di tombe con ricchi corredi di armi, inclusi alcuni elmi rivestiti con zanne di cinghiale, in cui erano sepolti i membri dell’aristocrazia del tempo. Tutto questo riflette lo stile epico di quanto non faccia la società di palazzo. Le fasi micenee che più si avvicinano al mondo omerico sono quelle o più fiorenti, come quella palaziale, o quelle caratterizzate da guerra e instabilità, vale a dire il periodo proto-miceneo e il Tardo Elladico III C. Quale dei due sia il periodo della guerra di Troia narrata da Omero, non è certo. Gli studiosi si dividono tra le stratificazioni corrispondenti alla fase palaziale e post-palaziale, anche se altre voci eminenti respingono con forza questa ultima ipotesi, in quanto il popolo miceneo avrebbe avuto la forza di attaccare solo nel momento di maggior stabilità e forza, ovvero nell’età dei Palazzi[7].
Due elementi del corredo funebre in due delle cosiddette Tombe del Guerriero del TE IIIC.
Per quanto riguarda prove materiali di possibili rapporti fra Micenei e Ittiti, è degna di nota una tazza frammentaria d’argilla da Hattuša su cui è incisa una figura di guerriero. Il guerriero, abbigliato in modo molto diverso dai guerrieri Ittiti, porta un elmo con corna, cresta e nastri svolazzanti, che ricorda gli elmi micenei rivestiti con placchette ricavate da zanne di cinghiale. A Mileto[8] inoltre è stato ritrovato l’unico elmo di questo tipo, non attestato in altri luoghi dell’Egeo orientale, se non in rappresentazioni.
Le placchette di zanne di cinghiale rinvenute nella necropoli micenea di Degirmentepe a Mileto attestano quindi che questo caratteristico elmo miceneo era noto in Anatolia e dimostrano il rapporto tra i due popoli. Poco significativo è un recente rinvenimento ad Hattuša di un frammento di ceramica micenea; la ceramica micenea è poco attestata nelle sfere di influenza hittite e a Troia , così come quella hittita e anatolica nelle aree micenee.
Anche nella Casa ovest nel sito di Akrotiri (isola di Thera, Santorini) vi è un affresco in cui compaiono questi elmi, sia indossati, sia appesi su barche che stanno navigando, forse a scopo rituale. Oltre a questi ritrovamenti e altri come spade di fattura micenea a Hattusa, capitale del regno hittita, il dialogo tra il mondo miceneo e quello orientale non prosegue. In particolare il sito di Troia è privo o quasi di reperti di origine micenea. Tutto è avvolto ancora nel mistero, dato l’esiguo numero di reperti provenienti dal mondo miceneo trovati nelle aree di influenza hittite e in particolare in Anatolia e viceversa. Anche i documenti hittiti non ci chiariscono le idee; nonostante le notizie dei rapporti diplomatici con il popolo Ahhijawa-acheo, mai nelle tavolette (che, ricordiamo, ci sono testimoni fino al 1200), è citato un conflitto associabile alla grande guerra di Troia. Che la tanto nota guerra non sia mai esistita? Che sia una piccola scaramuccia tra popoli non degna di essere registrata negli annali e nei trattati?
La questione è ancora aperta.
Note:
[1] Tucidide esprime già nel I capitolo de La Guerra del Peloponneso, dubbi e scetticismo nella descrizione di conflitti e eventi da parte di poeti e logografi, accusandoli di amplificare ogni cosa per rendere più accattivante e attraente l’opera al pubblico (Tuc. I, 10: “…ma bisogna ritenere che quella spedizione fu più grande delle precedenti, ma inferiore a quelle del giorno d’oggi, se anche in questo caso dobbiamo prestare fede alla poesia di Omero: questi è un poeta, ed è probabile che abbia abbellito ed esagerato la sua grandezza..”).
[2] Pur essendo ormai tutti gli studiosi di comune accordo sull’associazione Troia-Hissarlik, non c’è ancora chiarezza su quale dei cinque insediamenti della Tarda Età del Bronzo scoperti nel sito sia quello riferibile al momento del conflitto (Troia VIh. Troia VIIa. Troia VIIb1-b3).
[3] L’insediamento di Mileto, distrutto dal re hittita Mursili II verso la fine del TE III A2 fu poi ricostruito (Mileto VI-VII). Dai documenti Ittiti si deduce che nel corso del XIII sec. Millawanda/Mileto fu di volta in volta sotto controllo Ahhiyawa e sotto controllo ittita, ma la cultura materiale del sito non fu influenzata in maniera evidente da questi eventi politici. Nel corso del XIII sec. la città VI venne dotata di una cinta muraria a “casematte” di tipo ittita. Gli Ittiti hanno lasciato ben poche tracce del loro passaggio a Mileto. Una di queste è la comparsa, su frammento di ceramica locale, di un’alta tiara conica con corna simile a quelle portate dalle divinità e dai sovrani Ittiti. Le dimensioni del sito, la qualità dei rinvenimenti e le frequenti menzioni nei documenti Ittiti indicano che Millawanda/Mileto era il più importante insediamento sulla costa dell’Asia Minore. La sua posizione all’imboccatura della valle del Meandro, che garantiva un relativamente agevole accesso all’interno dell’Anatolia, non fu certamente un fattore secondario nelle fortune di Mileto come porto commerciale. Nell’Età del Bronzo ed in età storica la città sorgeva su di un promontorio situato all’imboccatura del profondo Golfo Latmico. Nel corso del tempo i depositi alluvionali trasportati dal Meandro (Büyük Mendereš) hanno completamente insabbiato il golfo, isolando un lago di acqua salata, che è quanto resta del golfo originario. Attualmente il sito di Mileto dista alcuni km. dal mare e l’isola di Lade si presenta come una collina circondata dalla pianura alluvionale del Meandro.
[4] Se la pesante lancia di Achille può essere forse assimilata ad una picca, in Il. XX 273-281 la stessa arma è usata dall’eroe come lancia. Nell’Iliade lo scudo “a torre” è prerogativa di due eroi: Aiace Telamonio ed Ettore, ma lo scudo di Ettore descritto come “a torre” in Il. VI, 117, diventa rotondo in Il. VII 250.
[5] È questo ad esempio il caso di Pandaros quando ferisce con una freccia Menelao (Il. IV, 112-126) mentre due compagni lo proteggono con i loro scudi e sarà più tardi il caso di Paride quando colpirà con una freccia il tallone di Achille. Nell’etica del guerriero omerico, che vuole provare il suo valore nel duello, l’arciere non gode di particolare stima.
[6] Nei poemi la città di Sparta compare sempre come la principale città della Laconia, ma il più importante sito della regione in età Micenea non era Sparta, ma il Menelaion, il sito dove in età storica fu costruito un tempio dedicato al culto di Menelao. Il nome storico del sito sembra fosse Therapne (vedi Erodoto, Her., Storie, 6.61.19-21), un toponimo sicuramente molto antico, ma ignoto ad Omero.
[7] Troia VIh (1390-1315/1300) e Troia VIIa (1300-1190/1180) sono le state fino ad oggi le città più frequentemente identificate con la Troia omerica. I motivi a favore dell’una e dell’altra sono stati elencati più volte. Uno dei principali argomenti a favore di Troia VIh è che questa città era molto più maestosa di Troia VII e meglio corrisponde all’immagine che ne dà Omero. Uno dei principali argomenti a favore di Troia VIIa è che la città fu sicuramente distrutta da un incendio dovuto ad azione umana, mentre Troia VIh fu molto probabilmente devastata da un terremoto. Le cause della distruzione di Troia VIh sono sempre stata molto dibattute. All’ipotesi sismica sostenuta da G. Rapp e da C.W. Blegen e più recentemente ribadita da M. Korfmann, M. Wood oppone alcune affermazioni dello stesso Blegen (non ripetute però nella pubblicazione finale dei suoi scavi di Troia) e di W. Dörpfeld secondo le quali Troia VIh fu distrutta da un incendio. Secondo Dörpfeld la dislocazione di certi tratti di mura non era dovuta ad un terremoto, ma ad un deliberato tentativo di demolizione della fortificazioni da parte dei conquistatori, un’ipotesi seguita da altri.
[8] L’insediamento di Mileto fu distrutto dal re hittita Mursili II e fu poi ricostruito (strato Mileto VI-VII). Dai documenti Ittiti si deduce che nel corso del XIII sec. Millawanda/Mileto fu di volta in volta sotto controllo Ahhiyawa e sotto controllo ittita, ma la cultura materiale del sito non fu influenzata in maniera evidente da questi eventi politici. Non bisogna infatti dimenticare che durante l’Età del Bronzo, così come in seguito, il dominio di uno stato su di un altro si poteva esercitare semplicemente attraverso l’imposizione di tributi e l’obbligo di fornire truppe e non implicava un’occupazione permanente. Nel corso del XIII sec. la città VI venne dotata di una cinta muraria a “casematte” di tipo ittita. Gli Ittiti hanno lasciato ben poche tracce del loro passaggio a Mileto. Una di queste è la comparsa, su frammento di ceramica locale, di un’alta tiara conic con corna simile a quelle portate dalle divinità e dai sovrani Ittiti. Dalla necropoli di tombe a camera situata sulla vicina collina di Değirmentepe provengono importanti ritrovamenti, che includono spade di tipo non egeo, gioielli, una coppia di morsi da cavallo in bronzo ed un elmo rivestito di placchette ricavate da zanne di cinghiale, l’unico di questo tipo attestato nell’Egeo orientale. Le dimensioni del sito, la qualità dei rinvenimenti e le frequenti menzioni nei documenti Ittiti indicano che Millawanda/Mileto era il più importante insediamento sulla costa dell’Asia Minore. La sua posizione all’imboccatura della valle del Meandro, che garantiva un relativamente agevole accesso all’interno dell’Anatolia, non fu certamente un fattore secondario nelle fortune di Mileto come porto commerciale. Nell’Età del Bronzo ed in età storica la città sorgeva su di un promontorio situato all’imboccatura del profondo Golfo Latmico. Quasi davanti alla città si trovava l’isolotto di Lade presso il quale fu combattuta nel 494 a.C. la famosa battaglia navale fra la flotta fenicio-persiana e quella ionica. Nel corso del tempo i depositi alluvionali trasportati dal Meandro (Büyük Mendereš) hanno completamente insabbiato il golfo, isolando un lago di acqua salata, che è quanto resta del golfo originario. Attualmente il sito di Mileto dista alcuni km. dal mare e l’isola di Lade si presenta come una collina circondata dalla pianura alluvionale del Meandro.
Bibliografia:
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