“La ricognizione di superficie”
a cura di Carmen Cannizzaro
Nell’immaginario collettivo comune, l’archeologo mira alla raccolta di manufatti ritenuti di grande valore per ricostruirne la storia. In parte, in realtà, era proprio quello che accadeva nei primi anni del Novecento, quando la ricerca scientifica non era ancora maturata. Molto spesso, infatti, la ricerca, non documentata, mirava alla scoperta di grandi monumenti antichi o di pezzi praticamente “unici” che potevano essere venduti a musei o a collezionisti.
Fortunatamente, oggi, l’archeologia ha un compito più esauriente. La ricerca archeologica, infatti, mira non solo alla conoscenza specifica dei monumenti del passato e dei manufatti, ma deve essere in grado di saper leggere il messaggio storico che la terra ha lasciato. La superficie attuale è, infatti, il risultato di processi formativi di origine antropica e naturale, che nel corso del tempo, ha portato ad una vera e propria stratificazione, difficile da comprendere. L’archeologia è la disciplina che può tradurre e trascrivere questi messaggi, questi “codici genetici di riferimento” che, una volta decodificati, possono dare accesso alla collocazione temporale e all’interpretazione tipologico e funzionale degli oggetti rinvenuti (NANNI, 1996), operando tramite metodi di indagine che vanno dalle ricognizioni archeologiche, al rilievo, allo scavo stratigrafico ecc.
Probabilmente, non è un caso se, esponendo questo concetto, mi è venuto in mente uno dei primi manuali di scavo italiano che credo sia ormai un pilastro per tutti gli studenti e che fu uno dei primi libri di ricerca archeologica che mi ritrovai tra le mani, durante gli studi della laurea triennale. Questo libro si chiama “Storie della terra”, di Andrea Carandini, e oltre a trattare di metodologia della ricerca, credo voglia proprio enfatizzare il valore che ha la terra, non solo come contenitrice di reperti, ma come narratrice di eventi che legano l’uomo e l’ambiente del passato.
In questi giorni sono iniziate le ricognizioni di superficie intorno all’area di Pisa, nella località di San Rossore. Precedentemente, le indagini hanno interessato le zone di Vecchiano e di Migliarino.
Esse hanno il compito di indagare quest’area, inserita in un contesto geografico-ambientale caratterizzato da una pianura alluvionale solcata dai bacini idrografici del Serchio-Auser a nord e dell’Arno a sud, che nel corso dei secoli hanno variato il loro percorso e la linea di costa (GATTIGLIA, 2013).
Una delle prime fasi della ricerca archeologica, riguarda dunque la ricognizione di superficie, di cui oggi vorrei approfondire.
Essa permette l’individuazione di nuovi siti e rileva la morfologia di un territorio per mostrarne le attività antropiche. Per essere efficace, necessita la conoscenza di geografia e geologia del territorio e tipologie di insediamento a seconda delle epoche (La ricognizione, 2013).
In parole povere, per effettuare la ricognizione, per prima cosa, i ricercatori devono possedere tutta la documentazione relativa al luogo, dal materiale aerofotografico, bibliografico, cartografico, topografico ecc.
Una volta deciso il metodo d’indagine, i ricercatori andranno a disporsi in fila, all’inizio del campo, alla stessa distanza (che è maggiore del loro angolo di visuale) per poi percorrerlo, con andamento rettilineo, cercando eventuali manufatti presenti in superficie.
Successivamente, verranno effettuati i rilievi fotografici, in cui non dovranno assolutamente mancare una lavagnetta su cui verranno scritte le informazioni sul luogo e sulla data, una freccia che indicherà il nord e una palina metrica.
Infine, dovranno essere compilate le apposite schede, inserendo tutte le informazioni ottenute durante l’attività, persino il grado di visibilità, la morfologia del terreno, la lavorazione e l’eventuale aratura.
Nel caso del territorio di San Rossore (PI), ad esempio, la formazione geologica del terreno è risultata essere alluvionale, con andamento pianeggiante e composizione argillosa. La maggior parte delle ricognizioni hanno evidenziato la presenza di frequentazione moderna e contemporanea. Nel terzo sito, però, è stato rinvenuto un frammento ceramico di grandi dimensioni appartenente, probabilmente, ad un vaso di V secolo a.C, evidentemente trascinato da lavori agricoli e appartenente all’insediamento etrusco individuato negli anni 2011-2012.
Ho posto l’attenzione su quest’ultimo esempio per evidenziare l’importanza di questo tipo di indagine che, spesso, permette di individuare informazioni molto importanti sul territorio e sull’eventuale presenza di testimonianze archeologiche nel territorio.
Dal confronto di tutte le documentazioni ottenute, dei reperti e delle mappe, si potrà tentare una ricostruzione della zona, che dia un quadro diacronico dell’occupazione antropica dei siti in questione.
Bibliografia:
G. Gattiglia, MAPPA Pisa medievale: Archeologia, analisi spaziali e modelli predittivi, Roma 2013
La ricognizione. (2013). Tratto da Gruppi Archeologici d’Italia: gruppiarcheologici.org/ricognizione.pdf
A. Nanni, La ricognizione di superficie. La ricerca archeologica in area padana, Atti del workshop, Villadose, 1994, pp. p. 375-380
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Grazie alle informazioni fornite , immagino il lavoro svolto dagli archeologi. Lavoro davvero minuzioso. Complimenti !!!!
Lavoro davvero minuzioso. Complimenti !!!!