“La mostra εmotions al Museo dell’Acropoli di Atene”
a cura di Caterina Pantani
22/09/2017
Dato l’enorme successo della mostra “Un mondo di emozioni: la Grecia Antica, 700 a.C. – 200 d.C.”, durata dal 9 marzo al 24 giugno 2017 a New York, organizzata dal Centro culturale Onassis, la fondazione ha deciso di riallestire l’esposizione, questa volta ad Atene, nel Museo dell’Acropoli. La mostra è aperta dal 18 luglio e sarà visitabile fino al 19 novembre.
L’obiettivo della mostra è investigare l’anima degli antichi, vederli sotto una luce diversa, non come pilastri della razionalità, ma come carne e sangue, ammirarli nella loro semplice umanità: alcuni vittime dell’odio e dell’ira, altri immersi nella dolcezza di sentimenti come l’amore o l’affetto materno, altri ancora accecati dalla follia, dal dolore per la morte di un caro, o bruciati dalla vergogna o dal desiderio. I Greci quindi “si mettono a nudo”, per la seconda volta.
La mostra non solo avvicina gli antichi al nostro sentire, ma permette di far conoscere al vasto pubblico come gli antichi si relazionassero con la sfera emotiva e irrazionale e come la rappresentassero, attraverso gestualità e l’espressività.
La mostra include vasi, sculture, rilievi funerari, maschere teatrali, amuleti, monete e altre opere d’arte, portando il visitatore a spasso nel tempo, dal VII secolo fino al II secolo a.C. I reperti provengono dal Museo dell’Acropoli, dal Museo Archeologico Nazionale di Atene, ma anche dal Louvre, dal Museo Britannico e dal Museo di Berlino.
Se la sequenza e la disposizione degli artefatti rimane più o meno invariata dalla mostra newyorkese, l’allestimento è diverso, pensato per le dimensioni e gli spazi del museo ateniese e sviluppato in collaborazione con l’architetto Eleni Spartsi (altri curatori: Angelos Chaniotis, docente di Storia Antica e Studi Classici presso l’ Istituto di Alti Studi dell’ Università Statunitense Princeton e membro del Consiglio della Fondazione Onassis negli Stati Uniti; Nikolaos Kaltsas, direttore onorario del Museo Archeologico Nazionale; Ioannis Mylonopoulos, professore associato di antica arte greca e Archeologia presso la Università Columbia). La supervisione generale dell’esposizione aggiornata è stata presa dal presidente del Museo dell’Acropoli stesso, il professor Dimitris Pandermalis.
La mostra, che si struttura come un ambiente distinto rispetto al museo dell’acropoli (con ticket a parte, ma gratis per gli studenti europei), è una spirale che conduce all’ambiente principale, una stanza circolare con al centro due statue, i pezzi forti della esposizione: la statue di Eros (Foto 1) e di Pothos (Foto 2). Intorno si sviluppano moltissime vetrine, per lo più di reperti ceramici.
Eros e Pothos, l’amore e il desiderio amoroso, posti insieme quasi a voler ricreare quel gruppo statuario di Lisippo formato da Eros, Pothos e Himeros, una sorta di “iconografia dei volti dell’Amore”, infatti per gli antichi greci esistevano più Amori. Pothos, ad esempio, è l’amore per qualcosa/qualcuno di irraggiungibile, perfetto, l’anelito e la spinta continua ed incessante verso ciò che non si raggiunge mai, ciò verso cui tendiamo. Himeros il desiderio carnale sessuale del momento, Eros l’atto sessuale e Antenor l’amore corrisposto, la reciprocità, la relazione legittima.
Girando per la sala, il visitatore viene travolto da innumerevoli emozioni, a seconda di cosa sta ammirando: una stele funeraria, l’affresco con il sacrificio di Ifigenia, la morte suicida di un eroe.
Striscioni verticali in varie sfumature di rosso, dal rosso chiaro al più profondo cremisi, guidano i visitatori attraverso la mostra contemporaneamente simboleggiano la gamma e l’intensità delle emozioni in mostra e garantiscono un forte impatto visivo. Anche il grigio è presente come colore all’interno della mostra, a rappresentazione del lògos, la parte razionale che si oppone a quella emotiva, il pàthos. Spirali di striscioni in posizione verticale in vinile, dal rosa al cremisi, guidano i visitatori attraverso la mostra e contemporaneamente sono contrastate dalle parete grigie.
Le emozioni sono indagate in sezioni distinte settorialmente: un’area, definita “spazi dell’emozione” indaga il pathos in diversi contesti: negli spazi sacri, in quelli privati, in quelli pubblici, nelle battaglie e luogo della morte, nel contatto tra vivi e morti, nel compianto e nel ricordo. Vi sono poi sezioni dedicate alle emozioni non controllate, quelle conflittuali, per finire poi nella follia più pura.
Si nota quindi quanto l’emozione sia vincolata da una parte al mondo quotidiano (il dolore per la perdita di un padre o di un figlio che emerge da una stele funeraria), dall’altra al mondo della tragedia; non c’è opera o testo che indaghi meglio emozioni forti e incontrollate, in particolare le tragedie Euripidee, in cui i protagonisti sono molto spesso isolati. A differenza di Eschilo e Sofocle i suoi eroi non sono attaccati dagli dei, non sono accecati da Atena o resi folli da Era. La loro è una debolezza diversa, per cui non sono contrastati da dei o dal Fato, ma da loro stessi; i suoi personaggi sono a volte vittime del loro stesso, umano, thumòs, l’impulso irrazionale. Il conflitto ragione-passione è uno dei più usati nelle tragedie greche, in cui l’eroe o l’eroina non riescono a trovare un equilibrio e finiscono nel peggiore dei modi. Non è un caso se due sezioni della mostra si chiamino “Medea”, “Emozioni conflittuali” e “Emozioni non controllate”.
“Il mondo demonico si è ritirato, lasciando soli gli uomini con le loro passioni. E’ questo che rende così dolorosamente commoventi i casi patologici studiati da Euripide; egli ci mostra uomini e donne che affrontano inermi il mistero del male, non più cosa estranea che aggredisce dall’esterno la loro ragione, ma parte dell’esser loro, ἦτὁς ἀνθρωπῳ δαίμων. [..] Medea sa di lottare non contro un dio, ma contro il proprio io irrazionale, il thymos, e domanda pietà a quell’io, come uno schiavo implora il padrone brutale. [..] Credo ancora che la parola irrazionalista, da me un tempo suggerita, sia quella che meglio si addice a Euripide” (Doods 2015, pp. 236-7).
GESTUALITA’ DELLE EMOZIONI TRA REALTA’, TEATRO E ARTI FIGURATIVE
Alla sfera dell’irrazionalità, oltre alla follia e all’amore, appartengono anche le più semplici e basilari emozioni, che si manifestano quotidianamente in ogni uomo. Le emozioni influenzano e spesso definiscono le comunicazioni e le azioni; quando le persone esprimono un’emozione generalmente seguono una norma sociale. La percezione, l’espressione e la rappresentazione dell’emozione è definita da un codice gestuale, stabilito dalla società a cui si appartiene, e che nelle arti figurative diventa uno schema iconografico.
Un tipico gesto per la rappresentazione del dolore nel contesto del rituale funerario è quello di tenere le braccia alzate o sulla testa (Foto 3; Foto 4): è il modo con cui comunicare che si sta provando quella particolare emozione e di far capire quindi, in un’immagine, lo stato emotivo del personaggio e il momento sociale in cui è ambientata quella vicenda: in questo caso, quello funebre.
Anche la letteratura ci mostra gesti tipici della società greca nel contesto funerario: uno tra tutti, quello di Achille nel momento in cui apprende della morte di Patroclo (Hom., Il. XVIII, vv. 22-27):
«Ὣς φάτο, τὸν δ’ ἄχεος νεφέλη ἐκάλυψε μέλαινα·
ἀμφοτέρῃσι δὲ χερσὶν ἑλὼν κόνιν αἰθαλόεσσαν
χεύατο κὰκ κεφαλῆς, χαρίεν δ’ ᾔσχυνε πρόσωπον·
νεκταρέῳ δὲ χιτῶνι μέλαιν’ ἀμφίζανε τέφρη.
αὐτὸς δ’ ἐν κονίῃσι μέγας μεγαλωστὶ τανυσθεὶς
κεῖτο, φίλῃσι δὲ χερσὶ κόμην ᾔσχυνε δαΐζων. »
“Così disse, e una nera nube di angoscia lo avvolse:con ambedue le mani prese la polvere arsa,
la rovesciò sul capo, sporcando lo splendido viso,
e sulla veste fragrante cadde la cenere.
Lui stesso, grande disteso in mezzo alla polvere,
giaceva, e con le mani si sfigurava strappando i capelli.”
(Trad. Guido Paduano)
Nella scultura, i primi autori a puntare sull’espressività dello sguardo, furono Skopas, attivo (grazie allo studio della luce e dell’ombra, occhi incavati e languidi) e Prassitele (attivo fra il 370 e il 330 a.C.), con il loro straordinario realismo nella creazione dei corpi e nell’espressività dei visi: sono i primi scultori che rappresentano le emozioni focalizzandosi sull’espressività facciale. Non è un caso che la statua di Pothos, che è, assieme a quella di Eros, il fulcro della mostra temporanea, sia una copia romana da un originale di Skopas.
Un’altra emozione indagata nella mostra Emotions è la tristezza. Numerose sono le steli funerarie allestite, in cui è possibile vedere come i Greci rappresentassero questo stato d’animo nell’arte. Due sono gli schemi iconografici che gli artisti utilizzano per la tristezza e la malinconia: il capo chino e il nascondere il volto, il capo o anche la totalità del corpo sotto un vestito o un mantello. Pucci scrive: “Di per sé la katépheia, il tenere il capo abbassato, non è espressione esclusivamente di dolore, ma più in generale di pensosità, di silenzioso raccoglimento interiore: è un cogitantis gestus (gesto di chi sta pensando, dubitando). Però nella gestualità scenica, e in particolare in Euripide, può essere segnale di pianto”( PUCCI 2003).
Analizzando il cratere del Pittore del Primato (Foto 6) “Elettra è seduta presso l’altare che sorge davanti a un tempio e in grembo tiene l’urna per le libagioni [..]. Ha il capo velato, e lo tiene reclinato su un lato, appoggiandolo alla mano sinistra. Il gomito sinistro poggia a sua volta sulla coscia. Lo sguardo è rivolto verso terra” (Pucci 2003).
Non c’è dubbio che la posa scelta dal pittore che ha dipinto questo vaso non è né casuale né di sua invenzione. Infatti ricorre, con minime varianti, parecchie altre volte, e non solo sulla ceramica italiota. Ricorreva già prima, basti guardare il noto indovino del tempio di Zeus a Olimpia di età severa (Fig.5): il vecchio compie lo stesso gesto, quello di sostenere il capo abbassato con la mano, che poggia sulla guancia. In altre opere la mano invece è aperta e poggia proprio sul cranio, rendendo la rappresentazione più tragica, più patetica, come accade per la misteriosa dea sul Trono di Boston (Foto 8).
Nell’affresco di Pompei (Foto 7), presente nella mostra, la scena è estremamente drammatica: all’estrema sinistra Agamennone, interamente coperto da un mantello, con il capo abbassato ed una mano che gli copre gli occhi, volge le spalle alla scena, sotto il peso della responsabilità di aver acconsentito al sacrificio della figlia. La situazione è esattamente quella descritta da Euripide tramite la figura del Messaggero nella tragedia Ifigenia in Aulide (Eur., If. In Aul., vv 1549 e ss.):
ὡς δ᾽ ἐσεῖδεν Ἀγαμέμνων ἄναξ
ἐπὶ σφαγὰς στείχουσαν εἰς ἄλσος κόρην,
ἀνεστέναξε, κἄμπαλιν στρέψας κάρα
δάκρυε, πρόσθεν ὀμμάτων πέπλον προθείς.
“Ma quando il re Agamennone vide la fanciulla che si dirigeva verso il boschetto per essere sacrificata, gemette e, girata la testa di lato, si coprì gli occhi con il peplo, scoppiando in lacrime”
(traduzione di Caterina Pantani)
Purtroppo non è possibile dire se in questo caso il poeta ha influenzato il pittore Timante o viceversa, essendo la cronologia dell’autore dell’affresco assai poco definita. Tramite il confronto con la letteratura è possibile quindi interpretare le rappresentazioni, così come capire come i greci esprimessero nella gestualità, sia in scena a teatro, sia nelle rappresentazioni, l’emozione della tristezza e del pianto: coprendosi il capo e, a volte, tutto il corpo, con lunghi abiti.
Si sfata così il pregiudizio, basato sull’ignoranza, che l’arte greca sia fredda e pura razionalità. Le arti visive, la letteratura, così come la mostra Emotions, ne sono la dimostrazione: “Emotions” è una mostra narrativa che racconta il mondo invisibile e intimo delle emozioni umane nella vita personale, sociale e politica dell’antichità.
Glossario:
Età severa: Viene così designato lo stile di quella generazione di artisti operanti in Grecia tra il 480 e il 450 a. C.; è chiamato anche stile di transizione poiché si pone, intermedio fra l’arcaismo maturo e lo sbocciare della piena classicità, in quella eccezionale temperie verificatasi al termine delle guerre persiane. La qualifica, che deriva probabilmente da una libera traduzione degli aggettivi con i quali venivano definiti dalle fonti gli artisti di quest’epoca (in Cicerone, Plinio, Quintiliano, Luciano: durus, rigidus, austerus; in Dionigi d’Alicarnasso, De compositione verborum, 22: αὐστηρὸς ἀρμονία riferito a Pindaro, ecc.). [..] Caratteri dello stile severo sono la piena corporeità plastica della figura, una organica unità strutturale raggiunta attraverso forme ampie e compatte, e il ripudio di ogni accento decorativo e lezioso; il panneggio cade in pieghe ampie e grevi (e a ciò si addice il dorico peplo che nel vestiario femminile si sostituisce allo ionico chitone), le membra esprimono attraverso la ponderazione una nuova concezione dinamica contrapposta a quella statica precedente, le acconciature si raccolgono intorno al capo in una massa compatta e la conquista dello scorcio apre tutte le nuove prospettive dei successivi traguardi dell’arte greca, svincolandola definitivamente dalle culture arcaiche. (Fonte: Treccani, in “Severo, stile”)
Loutrophoros: λουτρόν/loutròn e φέρω/pherō, tradotto in italiano: “acqua del bagno” e “portare”) è un vaso greco antico in ceramica, di forma allungata, caratterizzato da un collo alto, generalmente della stessa misura della pancia, e da due anse impostate sulla spalla e appena sotto l’orlo. Presente ad Atene dal tardo VIII secolo a.C. fino all’età ellenistica (Fonte: clicca qui).
Bibliografia:
E.R. Doods, I Greci e l’Irrazionale, 2015
G. Pucci, Pianto e gesto fra teatro e arti figurative, Atti del convegno INDA 25-28 settembre 2003, Dioniso n. 6, pp. 371-375
L. Todisco, Teatro e spettacolo in Magna Grecia e in Sicilia, Milano, 2002
Sitografia:
Perseus Digital Library
www.academia.edu/G.Pucci, Pianto e gesto fra teatro e arti figurative (2003)
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